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C’è un sottotitolo in Frankenstein ovvero “Il moderno Prometeo” è così che Mary Shelley vede il suo dottore, un uomo che si arroga il diritto di ergersi a Dio, di sfidare le leggi della natura, per poi non prendersi fino in fondo le responsabilità del suo gesto.
“Per esaminare le cause della vita dobbiamo innanzitutto rivolgerci alla morte”
Victor è un uomo che vuole sempre di più, sempre di più, insoddisfatto di ciò che ha intorno decide di compiere un gesto estremo: creare la vita, con arroganza, superiorità, superficialità, per poi lasciare immerso nella solitudine “suo figlio”.
Il “mostro” apre gli occhi su un qualcosa che non conosce, imparerà ad amare il cielo, lo sbocciare dei fiori, la natura e gli uomini.
Ma il “mostro” è orribile agli occhi dell’uomo, e “l’umanità odia gli sciagurati”, cercherà amore e riceverà in cambio odio e rabbia, fino a diventare davvero un Mostro.
“Osai essere felice”.
In un rincorrersi infinito tra il Creatore e la sua Creatura, Mary Shelley porterà a galla, limiti e cattiverie umane, dolore e morte, Frankenstein è fautore del suo destino: il “Mostro” ha ricevuto il “fuoco di Prometeo” e poi si è fatto consumare da esso.
“Infausto il giorno in cui ricevetti la vita! esclamai nel tormento “Maledetto creatore! Perchè hai dato forma a un mostro così orrendo, da cui perfino tu sei rifuggito”.
Si arriva alla fine del libro e ci si accorge della modernità di una storia scritta 200 anni fa da una diciannovenne, che con eleganza ci porta alla fatidica domanda “chi è il vero mostro?”
Domande a cui è difficile rispondere, ma questa è la potenza dei libri.
“L’angelo caduto diventa un demone maligno. E tuttavia, persino quel nemico di Dio e degli uomini aveva amici e complici nella sua desolazione. Io no, io sono solo.”
Finale straordinario e commovente.
Vi abbraccio 
